L'infanzione rubata - Pino Bertelli
L’infanzia rubata. La guerra negli occhi è il titolo del racconto fotografico di Pino Bertelli in mostra presso la Sala delle Colonne del Palazzo Comunale di Pontassieve fino al 15 ottobre 2022.
Trentuno scatti in bianco e nero che raccontano attraverso lo sguardo la sofferenza, il dolore, la quotidianità di piccole vite che nulla hanno a che fare con la spensieratezza che ogni bambino dovrebbe avere.
Il fotografo piombinese attento ai diritti umani, si fa portavoce di un messaggio semplice e necessario, “la pace si fa con la pace” afferma Bertelli.
Gli occhi di questi bambini in mostra sono lo strumento più forte che abbiamo a disposizione, bisogna trovare l’umano, fermare le barbarie e le crudeltà.
La mostra fotografica di Pino è anche un omaggio a Pier Paolo Pasolini, da sempre nell’amore e nella difesa degli ultimi.
“Una mostra dal grande impatto emotivo ed emozionale, che siamo molto orgogliosi di ospitare in un momento così drammatico. – dicono la sindaca Monica Marini e il vicesindaco Carlo Boni – L’arte di Bertelli ci impone di guardare negli occhi, senza voltarci, l’atrocità della guerra, mettendocela davanti in tutta la sua drammaticità. Ci fa riflettere e ci costringe a prendere l’unica posizione possibile: al fianco di chi le guerre le subisce e di chi, a causa delle guerre, si vede negato ogni diritto.”
“Non c’è parola – affermano Antonio Natali e Adriano Bimbi curatori della mostra – che eguagli l’efficacia emotiva delle immagini di Bertelli. Negli occhi dei bimbi, il fotografo riesce a leggere non già la cronaca di un’afflizione, bensì la storia millenaria del martirio d’un popolo.”
Testo Felisia Toscano
Foto dell’inaugurazione di Maria Di Pietro




Come una scintilla - su Letizia Battaglia
di Maria Di Pietro
La fotografia ormai è nelle mani di tutti, e in fondo non è questo che preoccupa. Quello che rende persone migliori nell’avere una macchina fotografica a collo, è il coraggio di parlare di poesia, ai margini, nei posti più bui e infetti dal puzzo dell’umanità violenta, vuota e sanguinaria.
Letizia Battaglia è la passione che zampilla nella parola rivoluzione, in una città che sarà per lei amore incondizionato, che incatena e libera.
È, perché sia chiaro a tutti, Letizia e il suo sguardo libero, tenuto a distanza per anni come donna ancor prima che come fotografa dai tavoli della fotografia italiana, è viva, eterna.
Tutti la ricordano per le immagini di mafia, per un pallone in mano ad una ragazzina diffidente che guarda all’obiettivo, in verità il ricordo profondo della sua fotografia è in quella semplicità apparente, priva di strutture e toni alti, i suoi scatti nascono dalla purezza del suo voler dir qualcosa, a tutti i costi e senza paura, purché giunga agli altri e sia seme per i fiori di domani. Non c’è domani se non si ha il coraggio di parlare, di opporsi, di sognare, di pretendere il diritto a quella quotidianità, sporca di sangue nella sua città, che tanto desiderava vivere spoglia di potere e ricca di tenerezza.
Nel guardare le sue ultime fotografie, i nudi, la fotografia in scena sulla fotografia che fu, si percepisce una tregua alla resistenza, un gioco di abbandono da quelle strade di Palermo, ad occhi chiusi come a cercare la bellezza dell’altrove, e semplicemente essere, il più possibile, solo Letizia. Eppure, ad occhi aperti la sua è una fotografia che non conosce tregua, fotografare per “scuotere le coscienze”, una fotografia femminile, modello di emancipazione in Italia e del Sud “…Dentro la fotografia ci sono io, tutta: come donna, come bambina, perché sono ancora una bambina…” lei, la sua macchina fotografica, la sua Palermo con il suo disordine “input etico, morale, per chi vive fuori” che suscitava in lei la rabbia e l’amore, e quel coraggio di andare contro, lasciare traccia.
Se è tutto già scritto nel propio nome, Letizia Battaglia è fedele, carattere combattivo e concreto, donna “influente” premiata nel 2017 dal New York Times che inserisce la Battaglia tra le undici donne più influenti dell’anno per l’impegno dimostrato nella propria attività di artista. Di quel momento, di meritata stima ( il nostro Paese come sempre invece tardivo a dare merito…) le sue parole furono: “Bello il riconoscimento del New York Times, ma mi servono soldi per Palermo”. Come una madre, donna che vuole stringere e proteggere quel sogno di libertà e bellezza, ripensa alla sua città che vuole vedere cambiare e mostrare al mondo, con quelle ferite che resteranno, ma che vorrebbe non dover riaprire. Il suo cuore alla città ancora una volta nel 2017 con la nascita, sotto la sua direzione artistica, del Centro Internazionale di Fotografia nel capoluogo siciliano.
Chi è Letizia Battaglia è facile leggerlo ovunque, io posso provare a dire cosa ha significato la sua fotografia per una fotografa come me, nata a sud, nella periferia di una città martoriata da veleni, con l’arte e la bellezza negli occhi, di una Napoli che è un sogno, disegnata con l’azzurro, ma perennemente grigia, insieme all’aria infetta, la camorra e la monnezza come simbolo costante, che ha scattato le sue prime fotografie con un taccuino nello zaino, con dentro scritte le parole di Tina Modotti e le sue. Non era, a dirla semplice la fotografa della mafia, Letizia Battaglia è verità, ricerca di verità, ma soprattutto era una donna che si opponeva e si impegnava, che credeva nella giustizia umana, in assoluto prima su tutto. E non posso non sentire la necessità di sottolineare che in quanto donna affermava con coraggio di far parte di quel mondo incapace a creare guerre, invitando l’uomo, cieco nel suo costante affare, a guardare un mondo possibile privo di potere e violenza. Mi chiedo quante voci oggi, ora che la sua sarà silenziosa, sapranno educare a quella bellezza e pace.
Continuo a immaginarla danzare in quella foto di Zecchin, tra la musica intorno dove i colori sono tutti racchiusi nel bianco e nel nero. Letizia è proprio qui, in quella linea di confine, tra la drammaticità del nero e la bellezza del bianco, con la visione ampia fino ai margini, senza tagliare nulla.
“Questa fotografia è delicata e potente” mi disse la prima volta che la incontrai , “scrivimi, voglio vieni a Palermo, le tue foto sono di un’intensità straordinaria” mi hai detto, e poi “ma ne parliamo un’altra volta, intanto lascia perdere giudizi e amarezze che fanno male, abbi cura dei tuoi “zingarelli”.
Il resto lo custodisco con amore, il tempo non è mai abbastanza, forse lo è la fotografia.
Ti ho scritta anche ieri sera, ti scriverò ancora.